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TONY PARVIZYAR PRESENTERA' LE OPERE DI MONTICELLI & PAGONE

Premio speciale per il territorio al duo artistico sulmonese Monticelli & Pagone, per per l’opera “Senza titolo” (2018)

(ANSA) - SULMONA (L'AQUILA), 1 GIU - L'acquedotto medioevale di Sulmona tra i più belli e antichi d'Italia diventa un'opera d'arte contemporanea nell'ambito del bimillenario della morte di Ovidio: gli artisti Monticelli e Pagone con il comune di Sulmona, la DMC terre d'amore, l'associazione culturale Muntagninjazz per Open Day Abruzzo, B&B Sei Stelle hanno allestito un'opera d'arte pubblica in un contesto storico antico, l'arte contemporanea che dialoga con l'architettura del passato con un risultato stupendo. Il progetto nasce attorno all'idea di unire la storia e la bellezza antica alla visione contemporanea dell'arte ed al suo integrarsi in contesti storico culturali. L'acquedotto medioevale di Sulmona sarà il palcoscenico di una suggestiva e imponente installazione foto pittorica del duo Monticelli&Pagone, declinata sulla ricerca e rivisitazione dei miti delle Metamorfosi del poeta Ovidio: 13 lunette delle 21 arcate dell'acquedotto saranno lo spazio architettonico ideale per una rappresentazione contemporanea di 13 miti ovidiani.

Giovedì 5 maggio presso lo Spazio MATTA di Pescara alle ore 21.00 seguirà la provocatoria performance Vendere l’anima - S. Y. S. Sell Your Soul del collettivo Monticelli & Pagone, una vera e propria asta nella quale sarà messa in vendita l’anima creativa del collettivo, che firmerà alla presenza di un avvocato. MONTICELLI & PAGONE for CORPO Festival delle Arti Performative vendere l'anima S.Y.S sell your soul Provoc-azione artistica, economica, di mercato, letteraria, surreale, religiosa sociale è tutto questo e altro ancora questa (ultima) performance di Monticelli&Pagone. All'asta l'opera delle opere l'invisibile che genera arte o solo un modo di dire e di credere comune e abusato. Faust, Dorian Gray solo per citare due capolavori eterni che hanno emozionato ed emozionano ancora le nostre vite e dai quali gli artisti prendono spunto per continuare a stupire. Monticelli&Pagone in chiave contemporanea useranno l'anima della loro arte performativa per avvicinarsi ad un tema grande e discusso da sempre. Chi sarà il collezionista che si aggiudicherà l'operanima del duo? come sarà venduta? sotto quale forma? « La vita morale dell'uomo è il materiale dell'artista, ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di uno strumento imperfetto. » (Oscar Wilde, dalla Prefazione a «Il ritratto di Dorian Gray») MONTICELLI&PAGONE

MONTICELLI&PAGONE- ITALIAN CULTURAL INSTITUTE FOREIGN BODIES - PUBBLICAZIONE UFFICIALE IIC EDINBURGH 2014
MONTICELLI&PAGONE- ITALIAN CULTURAL INSTITUTE FOREIGN BODIES - PUBBLICAZIONE UFFICIALE IIC EDINBURGH 2014
monticelli & pagone in studio
monticelli & pagone in studio

Monticelli & Pagone: quando l’arte si fa in due

 

E’ possibile concepire l’arte come un processo di coppia? Lo abbiamo chiesto al duo Monticelli & Pagone, coppia formata dagli artisti Alessandro Monticelli (1973) e Claudio Pagone (1976) che nel 1999 si sono uniti con la sigla M&P. Irriverenti e provocatori, i due artisti rappresentano oggi un esempio emblematico di questa modalità di creazione artistica a “quattro mani”.

 

Quali sono stati i vostri esordi? Come è nato il vostro duo artistico?

 

Abbiamo intrapreso il percorso artistico singolarmente, ognuno con i propri temi, la propria tecnica, il proprio modo di vedere l’arte. Claudio trattava aspetti più figurativi, io più astratti. Pensa che abbiamo fatto il servizio militare insieme senza mai parlare di arte. In seguito ci siamo incontrati, per caso, in un magazzino indaffarati a comprare ferro, vernici ed altro materiale. Solo in quel momento abbiamo scoperto di dipingere entrambi. Così abbiamo cominciato a frequentarci attraverso l’arte. Abbiamo preso parte a diverse manifestazioni, premi, esposizioni sempre individualmente, fino a quando il confronto, le idee comuni, la reciproca contaminazione si sono trasformati in unione d’intenti. Abbiamo lasciato a poco a poco il lavoro individuale, soprattutto attraverso le installazioni e le performance, fino poi ad arrivare alle opere di pittura e scultura. Non ha pesato molto lasciare una carriera da solista. Il tutto è avvenuto in maniera molto naturale, ci siamo resi conto che  questa cosa nuova che stava crescendo era più importante dei nostri singoli percorsi … poi destava molta curiosità il fatto di lavorare insieme.

 

Come si declina il lavoro artistico di coppia? Il lavoro nasce “a due” fin dal momento della concezione dell’opera o nella realizzazione o in entrambe le fasi?

 

Da sempre ogni lavoro che intendiamo realizzare inizia con una fase progettuale classica come il disegno per poi essere analizzata nel prosieguo attraverso tecniche più elaborate fino a quella che diviene l’opera da esporre. E spesso anche le fasi di progettazione disegni, foto, ecc. diventano parte dell’esposizione.

 

Molto spesso si pensa all’artista come a un “genio” solitario. In realtà molti artisti hanno scelto la modalità di coppia per lavorare. La “condivisione” è dunque un valore aggiunto anche nell’arte?

 

Monticelli & Pagone sono divenuti una coppia dopo un continuo e diverso lavoro individuale e varie sperimentazioni a quattro mani, che alla fine hanno portato ad una univoca visione lavorativa e progettuale. Avere le stesse idee ed essere in due a realizzarle sembra una cosa apparentemente semplice ma non è sempre così. L’interesse comune che abbiamo su alcuni temi ci porta comunque ad un incontro-scontro nella realizzazione dei lavori ma l’irruenza e la pacatezza dei nostri caratteri trova sempre un punto iniziale dal quale partire e progettare seduti a tavolino con foglio e matita. Spesso l’intuizione dell’uno funge da stimolo per l’altro. Circa nove anni fa in modo casuale e caotico. Caso è l’anagramma di caos, non poteva andare meglio.

 

La provocazione, la denuncia sociale ma anche la critica al mondo dell’arte sono elementi importanti del vostro lavoro: penso alla Venere dell’immondizia (su riferimento alla Venere di Pistoletto) e la Carta Igienica del Critico (che rimanda alla Merda di Manzoni). Quali sono state le reazioni del pubblico di fronte al vostro approccio irriverente?

 

Così come con la Venere dell’Immondizia dopo Pistoletto, La Carta Igienica del Critico arriva dopo la Merda di Manzoni. Azioni che mettiamo in atto ragionando sul nostro mondo ma che hanno un grande impatto, diremmo anche sociale, visto l’interessamento che suscitano. Un nostro modo di analizzare e reinterpretare ad oggi opere d’arte che hanno segnato la cultura contemporanea. Con quest’ultima ironica, dissacratoria “carta” cerchiamo di ridimensionare la figura del critico e di alcuni in particolare. Daniel Buren ha detto che “spesso ciò che viene esibito è il curatore piuttosto che l’opera d’arte”. Che dire? Con questo lavoro abbiamo cercato di esibire entrambi. C’è sempre la volontà di affacciarsi sulla realtà e nella realtà con una sorta d’ironia mista a denuncia. Non è una denuncia fine a sé stessa. Speriamo sempre che vada oltre, che lasci pensare, riflettere e  che non sia un’immagine che desti solo stupore, imbarazzo, divertimento. Insomma, che riesca ad andare oltre la prima impressione e che spinga verso nuovi interrogativi. Penso che l’arte contemporanea non debba dare risposte ma aiutare nel formulare  nuove domande, forse anche più attente, più critiche e meno banali.

 

Tra i temi che avete trattato nei vostri lavori ci sono anche quello dell’identità, del maschile e del femminile, della confusione dei ruoli e dei valori, dell’io e del doppio. Sono l’ambiguità e il dissolversi delle certezze preconfezionate le chiavi di lettura della realtà?

 

Questo lavoro si basa sul dittico, scelto in quanto immagine doppia: positivo e negativo, maschile e femminile. Doppio ribadito dallo stare insieme del plotter e della tecnica mista, delle grandi superfici bidimensionali e della performance, che si muove tra provocazione e stimolazione psicologica. Sviluppando questo tema, abbiamo cercato tra l’altro l’implosività del pensiero occidentale, con una celebrazione riflessiva del soggetto-oggetto che nel negativo dell’immagine rappresenta la dionisicità rimossa e cancellata dalla coscienza ma presente sotto forma di ombra, all’interno del corpo rilucente in primo piano e di cui costituisce l’inconscio che in quel momento propizia la trasformazione in altro da sé.

 

Quanto alle tecniche utilizzate, spaziate molto fra i linguaggi. La vostra cifra stilistica è la contaminazione?

 

Ogni opera nasce sempre dall’idea che abbiamo in quel momento, passa attraverso la matita, la macchina fotografica, il computer, il colore sulla tela… l’idea viene sviscerata sempre e completamente a 360 gradi. Noi siamo due persone completamente diverse, siamo caratterialmente opposti e per questo ci compensiamo. Devo ammettere che spesso realizzare un lavoro è davvero una bella fatica. A volte avviene in maniera più spontanea. Ad esempio può capitare che durante un viaggio in macchina per andare ad inaugurare una mostra, parlando si gettano le basi per un nuovo progetto. Il più delle volte basta un’idea e subito troviamo un punto d’incontro da cui partire. Per noi è il mezzo che giustifica il fine. La tecnica è la strada principale del messaggio, la visione alla lettura del lavoro ne è condizionata.

 

Avete esperienza di mostre sia in Italia che all’estero. Quali sono le differenze principali del sistema dell’arte negli altri paesi in rapporto a ciò che accade qui?

 

Siamo rimasti indietro rispetto a tutti crediamo. Ma non vogliamo lagnarci e criticare il sistema, atteggiamenti che invece ci vedono tra i primi e migliori. Forse però le inefficienti  politiche culturali di questi ultimi vent’anni del mondo dell’arte ci hanno dato il colpo di grazia. Legati ancora ai soliti noti e a  fenomeni da baraccone che ingannano i meno attenti. Chissà se spingendosi sempre più verso il buio alla fine si ritrovi la luce.

 

Quali progetti state curando ora e quali nel prossimo futuro?

 

Nuove esposizioni nelle nostre gallerie di riferimento e si sta delineando un progetto per  una grande realtà espositiva museale italiana.

Il LIBRO DI MONTICELLI & PAGONE
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VR art curator
VR art curator

NEWS

SEGNI INCORPOREI

Nel lavoro di Monticelli & Pagone il corpo è intuito dal punto di vista fisico e sociale arricchendolo di molteplici valenze. Un percorso, il loro, che fornisce una visione a tratti disincantata, pungente o fiabesca all’inter no di un approccio che ne sottolinea un transitorietà tipicamente contemporanea.

I due artisti si servono dell’evidenza fisica per farne uno strumento di spoliazione corporea e spirituale, l’immagine perde m...an mano consistenza, quasi a tirarne fuori la linfa vitale fino a ridurne l’essenza ad un’ombra, il tutto all’interno di una riflessione attorno al pensiero di Hermann Rorschach - il medico psichiatra che all’inizio del Novecento teorizzò la pratica di analisi basata su una serie di dieci tavole coperte di macchie di inchiostro che il paziente doveva interpretare. - Le loro immagini sono doppie, speculari, corpi perfettamente intrisi di quella contemporaneità fatta di simboli, marchi, quasi etichette a corredo di atteggiamenti e pose talora irriverenti. Un’irriverenza ostentata che nulla finge o nasconde, ma solo coglie lo stimolo proveniente dall’esterno, da una società fatta di uomini e donne sempre più spesso copia di qualcun altro.

In questi lavori ogni dualismo può manifestarsi, l’impronta in nero è ciò che rimane, è l’essenza, l’energia di un corpo che perde gradualmente la sua consistenza metaforica e spirituale mediante una pittura fluida, che sembra liquefarsi a contatto con la superficie.

Anatomie che talora si fanno più solide, decise per poi, nuovamente, frantumarsi. Così come acquistano fissità nelle piccole sculture, corpi abbozzati, quasi monchi della loro anatomia sofferente, forzata, informe, ferita nella muscolatura contratta e innaturale. Ma nulla di pedante, molta ironia, sarcasmo alla base del loro lavoro; e forse si possono rintracciare proprio gli artisti in molte tele, la loro anatomia, il loro modo di un po’ dandy di mettersi in mostra, quando il corpo si fa strumento pittorico per divenire impronta, segno e traccia di un’azione performativa, testimone di una narrazione contemporanea. Uomini e donne schiavi di un sistema in cui l’atto di svelarsi e coprirsi acquista la stessa identica valenza di prigionia, mascherata di libertà.

In un momento storico in cui l’incertezza e la doppiezza della natura umana vengono fuori in tutta la loro forza, nel lavoro di Monticelli & Pagone è l’energia positiva che si palesa. Non c’è perversione, solo una leggera malizia che caratterizza appieno la necessità di duettare con il proprio corpo il quale diviene speculare a se stesso. Un corpo nudo, che sia vivo, che sia carne, che si muova o sia solo un’impronta su di una superficie, esso è protagonista, è partenza e ritorno. Ma non è certo un involucro vuoto, porta con sé tutte le implicazioni intime, emozionali, sociali di un popolo, di un luogo o, semplicemente, di uno stato d’animo. Esso è cosmo e micro-cosmo. E come tale si veste dei segni della contemporaneità, che si tratti di un costume di scena o di pochi elementi a dirci che è in questa epoca che tutto si compie. In quello che appare, sempre di più, un botta e risposta fra l’essere umano e la caricatura di se stesso.

 

Loredana Barillaro

http://www.ikas-art.com/
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Intervista a Monticelli & Pagone
di Geoffrey Di Giacomo

 

Geoffrey Di Giacomo: Inizierei trattando l’ultimo lavoro esposto presso la Galleria Gallerati. Si riferisce ad un test psicologico esaminato in passato da Leonardo Da Vinci e Botticelli e messo in pratica dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach. Esso valutava la personalità di un individuo attraverso l'interpretazione di “disegni ambigui” o macchie nelle quali si identificavano alcune attitudini percettuali di base, mostrando aspetti del modo in cui il soggetto percepisce il mondo. La ricerca propriamente detta del vostro lavoro si auto-riversa in uno stato percettivo del mondo attraverso una deduzione inconscia dell’individuo analogamente al test?
M&P: Nella galleria Carlo Gallerati di Roma sono state esposte tele (mixed media) di grandi dimensioni, lavori fotografici ed un video inedito girato all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila in occasione di una performance progettata per una nostra personale. Questo lavoro si basa sul dittico, scelto in quanto immagine doppia: positivo e negativo, maschile e femminile. Doppio ribadito dallo stare insieme del plotter e della tecnica mista, delle grandi superfici bidimensionali e della performance, che si muove tra provocazione e stimolazione psicologica. Sviluppando questo tema, abbiamo cercato tra l’altro l’implosività del pensiero occidentale, con una celebrazione riflessiva del soggetto-oggetto che nel negativo dell’immagine rappresenta la dionisicità rimossa e cancellata dalla coscienza ma presente sotto forma di ombra, all’interno del corpo rilucente in primo piano e di cui costituisce l’inconscio che in quel momento propizia la trasformazione in altro da sé.

G.D.G.: La performance eseguita da Claudio identifica una scelta fuori dal sistema convenzionale, ma poi ricade all’interno di un palcoscenico accademico stabile, perché? Come rientra poi nell’intero progetto e perché questa decisione di attivare un processo performativo che abbia risonanza e stimoli nel Rorschach Test?
M&P: Forse perché crediamo sia ora di allontanare la convenzionalità di/da alcuni luoghi deputati all’arte ed in special modo delle accademie, dove ci siamo accorti che il mondo dell’arte e di quella contemporanea in primis è paradossalmente molto lontano. Questo come tu sai rientra nel nostro lavoro, analizzare attraverso varie rappresentazioni il tema scelto. La performance di Rorschach è stata di forte impatto e ci ha dato nuove visioni per i lavori futuri. Realizzarla poi in un’accademia dove pensiamo non fosse mai stata rappresentato un evento artistico con nudi e soprattutto nudi maschili ci ha stimolato molto, anche per i motivi di cui si parlava prima.

G.D.G.: I lavori indagano le risposte soggettive dello spettatore di fronte a stimoli nuovi e ambigui presenti nella personalità e nell’animo più profondo, cercando, a mio avviso, di delinearne il profilo attitudinale. Quanto c’è di geniale nella follia… purché sia razionalizzata e rientri in una sfera ancora controllabile…
M&P: “Il genio fa quello che può, il talento (follia) fa quello che vuole.” (Carmelo Bene)
Ma più che di genio parlerei di poesia. La follia crediamo sia portatrice sana di poesia e come tale non può essere misurata. Talvolta la si banalizza interpretandola con lucida saggezza ma tra follia e saggezza non c’è, a volte, altra differenza che il punto di vista con cui l’essere umano contempla i propri pensieri.

G.D.G.: Vorrei soffermarmi un momento su questo “crediamo”: Monticelli&Pagone è una sola persona che ha consolidato un’intesa e che riesce ad esibire quegli ingranaggi adatti ad una costruzione perfetta? Se azzardo a dire fusione artistica…
M&P: Forse con-fusione artistica sarebbe più adeguato (ridono)…. A parte gli scherzi Monticelli&Pagone sono divenuti una coppia dopo un continuo e diverso lavoro individuale e varie sperimentazioni a quattro mani, che alla fine hanno portato ad una univoca visione lavorativa e progettuale.

G.D.G.: Quando e come avete deciso di lavorare insieme?
M&P: Circa nove anni fa in modo casuale e caotico. Caso è l’anagramma di caos, non poteva andare meglio.

G.D.G.: Il lavoro svolto e definito come equipe permette una facile gestione esecutiva e evolutiva dell’opera. Per quanto riguarda il pensiero e l’avvento dell’idea le cose potrebbero cozzare nella presa di decisioni. Nel vostro caso c’è una simbiosi del pensiero e una pratica fortemente condivisa. Quale è il vostro punto d’incontro nella realizzazione dell’opera? Cosa scaturisce e determina l’intervento e in che modo esso avviene?
M&P: Avere le stesse idee ed essere in due a realizzarle sembra una cosa apparentemente semplice ma non è sempre così. L’interesse comune che abbiamo su alcuni temi ci porta comunque ad un incontro-scontro nella realizzazione dei lavori ma l’irruenza e la pacatezza dei nostri caratteri trova sempre un punto iniziale dal quale partire e progettare seduti a tavolino con foglio e matita. Spesso l’intuizione dell’uno funge da stimolo per l’altro.

G.D.G.: Mi sembra intendere che nel vostro operato è importante immettere nello spettatore delle sensazioni e vederne gli effetti procurati. Egli, come soggetto autonomo, va considerato similmente ad un test designato e su cui infrangere alcuni parametri psicofisici, captarne le risonanze relazionali del suo stato psico-fisico? Può allora considerarsi la vostra opera, una macchia del test di Rorschach?
M&P: In una recente intervista Lara Favaretto ha dichiarato che a volte l’opera vive di una sorte indipendente ed autonoma, non si cura della presenza ma continua il suo lavoro per inerzia. Questo può succedere ma per i nostri lavori la presenza sensoriale di chi guarda conta molto, se non riusciamo in questo intento abbiamo fallito. I lavori sono realizzati per sensazioni che devono alla fine arrivare a chi li contempla. Noi siamo i primi spettatori, impossibile lavorare senza tenerlo in conto. Nel caso di Rorschack poi si entra in una sorta di allucinazioni per percezioni che possono portare le opere ad osservare lo spettatore in una mutazione che trasforma il visitatore in opera guardante. Ben diverso è l’interrogativo della destinazione dell’opera, a chi è destinata? Ci sentiamo di rispondere con le parole del maestro Giulio Paolini; a nessuno, né all’autore che se ne priva, né allo spettatore che si illude di possederla e valutarla. Ma è proprio questo il dono che rappresenta, così possiamo goderne disinteressatamente, senza formulare aspettative o pretendere risposte.

G.D.G.: La cornice corrisponde ed introduce un confine a mio avviso superato e inesistente dell’Arte. La perdita odierna della regola e limite spaziale soggiorna nel pensiero di chi riesce a relazionarsi davvero con il reale. Il vostro lavoro è una critica in tal senso oppure rappresenta una dichiarazione e volontà di mostrare l’infinito nel finito?
M&P: Siamo in sintonia con quanto da te detto, anche in visione di un nostro, futuro, lavoro di cui tu sai. Molto precise in questo senso le parole di Gilles Deleuze in un breve saggio dove il filosofo prende in considerazione alcuni movimenti creatori del tutto eterogenei, il Romanticismo, il Simbolismo, il Surrealismo; ora – scrive - si invoca il punto trascendente in cui il reale e l’immaginario si compenetrano e si uniscono; ora il loro confine sottile, come il taglio netto della loro differenza. La direzione del nostro lavoro si inscrive per intero nel reale e nell’immaginario, nella “cornice” dei loro rapporti complessi, sempre con le parole di Deleuze “unità trascendente e tensione liminare, fusione e taglio netto”.

G.D.G.: La Carta Igienica del Critico è una pillola difficile da digerire. È una semplice e pura denotazione o è una provocazione lanciata agli addetti?
M&P: Così come con la Venere dell’Immondizia dopo Pistoletto, La Carta Igienica del Critico arriva dopo la Merda di Manzoni. Azioni che mettiamo in atto ragionando sul nostro mondo ma che hanno un grande impatto, diremmo anche sociale, visto l'interessamento che suscitano. Un nostro modo di analizzare e reinterpretare ad oggi opere d'arte che hanno segnato la cultura contemporanea. Con quest'ultima ironica, dissacratoria "carta" cerchiamo di ridimensionare la figura del critico e di alcuni in particolare. Daniel Buren ha detto che "spesso ciò che viene esibito è il curatore piuttosto che l'opera d'arte". Che dire? Con questo lavoro abbiamo cercato di esibire entrambi.

G.D.G.: Posso certamente affermare che il vostro lavoro non ha una qualifica e non si inserisce in un processo continuativo o ripetitivo di movimenti storici affermati. Percepisco una visione surrealista nella ricerca del pensiero e dell’immaginario, in Rorschach non si può certo negare una proiezione psicologica dell’arte; un concettualismo tipico dell’Arte Povera per quanto riguarda l’esecuzione pratica e la ricerca investita nel sociale e trasportato poi nella scena dell’arte. Un pluralismo di idee e messaggi in evoluzione, privo di un qualunque stampo ma che rilascia una linea di pensiero unico nel vostro lavoro. Il contrasto e decisione di utilizzare mezzi o metodi espressivi totalmente diversi fra loro (fotografia, performance, pittura o disegno, installazioni, video) nasce da un’analisi che contempla le avanguardie del secolo scorso senza abbracciarne nessuna in particolare…
M&P: No, è solo il nostro metodo, la nostra prerogativa di lavoro. Da sempre ogni lavoro che intendiamo realizzare inizia con una fase progettuale classica come il disegno per poi essere analizzata nel prosieguo attraverso tecniche più elaborate fino a quella che diviene l’opera da esporre. E spesso anche le fasi di progettazione disegni, foto, ecc. diventano parte dell’esposizione, cosi come nella prossima personale nella galleria Carlo Gallerati.

G.D.G.: Concluderei dicendo che il curatore è oggi una figura davvero efficace se agisce secondo criteri e principi solidi e onesti. Credo che il lavoro dell’artista che prende piede o si amplia o si relaziona attraverso una condivisione del pensiero del “critico pensatore curatore” possa generare un “qualcosa” fuori dal comune…Lottiamo per una pura affermazione ideologica di interventi inediti.
M&P: Perfettamente d’accordo con le tue parole. Se pensiamo solo a due grandi momenti dell’arte mondiale come l’Arte povera e la Transavanguardia non si può prescindere dalle figure dei “critici pensatori curatori” che sono stati l’anima di questi grandi periodi. Del resto la costruzione di un evento artistico pubblico o privato e simile a quella di un film, un bravo regista ha bisogno comunque di grandi attori, sceneggiatori, scenografi ecc. per generare un evento fuori dal comune come tu dici. Per questo insieme a te siamo pronti per il primo ciak.

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